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La gamma di ETF e fondi attivi a disposizione degli investitori in ambito azionario prevede la possibilità di adottare strategie cosiddette “a bassa volatilità”, che si concentrano solamente su titoli caratterizzati da fluttuazioni più contenute delle loro quotazioni di mercato.
Si tratta di strumenti utili in un’ottica di riduzione del rischio, ma anche di diversificazione all’interno del portafoglio.
Gli ETF e i fondi che perseguono una strategia a bassa volatilità hanno in pancia titoli con quotazioni più stabili e meno soggette a fluttuazioni ampie di valore.
Il concetto di volatilità in ambito finanziario indica infatti proprio il range in cui il valore di un titolo tende a variare rispetto alla propria media: con la conseguenza che più un titolo è volatile più i suoi sbalzi di prezzo tendono a essere ampi. Per intenderci un titolo poco volatile può magari fare un +/-5% in un anno, mentre un titolo molto volatile quella fluttuazione la fa tranquillamente in un solo giorno.
Le azioni che hanno una volatilità bassa sono di norma legate a società che si collocano in uno stadio già maturo del proprio business, che possono pagare qualche buon dividendo, ma che, almeno di norma, presentano prospettive di crescita più limitate. Sono azioni tipicamente più difensive, che possono essere sì adatte a chi sia interessato a ricevere rendite finanziarie, ma anche a chi voglia investire in azioni con un rischio più controllato, oppure a chi desideri semplicemente diversificare fra titoli più aggressivi e altri invece più tranquilli.
2022 vs 2023
Un’idea sul funzionamento e sul comportamento della strategia “low volatility” rispetto a quella standard è ricavabile raffrontando le performance realizzate da questi due diversi approcci nel 2022, anno super ribassista per i mercati azionari, e nel 2023 (fino ad oggi), anno in cui i mercati hanno rialzando un po’ la testa e, soprattutto in ambito USA, sono riusciti a impostare un buon trend rialzista.
Dalla foto possiamo prima di tutto notare che la strategia a bassa volatilità ha fatto molto meglio di quella standard nella fasi ribassiste del mercato, rappresentate dal 2022. In tutte le categorie infatti ha ottenuto risultati migliori, anche se pur sempre negativi dato il contesto.
Per cui, chi ha comprato un ETF “low volatility” a fine 2021 ha perso meno quando i mercati sono calati. E non è poco.
Per quanto riguarda la fase più rialzista o comunque di recupero del 2023, i risultati sono stati molto influenzati dalla composizione degli indici azionari nelle varie categorie.
L’indice europeo è di per sé un indice più difensivo o comunque più stabile rispetto a quello USA, dove è alta la componente tecnologica e di start up e in cui le società sono sicuramente molto volatili, ma sono anche molto più soggette al ciclo di mercato. Per cui quando il mercato si imposta al rialzo, sono società che tendono a sovraperformare (e viceversa).
Per cui la performance a bassa volatilità e quella standard in Europa si sono appianate, mentre in USA ( e nel globale, che al 60% – 70% è composto da società USA) la parte standard è salita in cattedra e quella “low volatility” è invece rimasta indietro.
Va anche considerato che l’indice europeo è stato molto più omogeneo nella sua performance, mentre nel 2023 in USA il carretto l’hanno tirato in grandissima parte i soliti 4 o 5 titoli tecnologici (cioè Google, Amazon, Microsoft e Apple, con l’aggiunta di Tesla e Nvidia), tutte società che non rientrano nelle strategie a volatilità bassa.
Come possiamo vedere nella foto, le performance sui 5 anni variano circa di 4 punti percentuali in favore della strategia standard, mentre tendono ad appianarsi sui 10 anni, dove, ad eccezione degli USA, la strategia a bassa volatilità passa addirittura quasi sempre in vantaggio.
La strategia low volatility riesce ad abbassare la volatilità dell’indice di 3 – 4 punti percentuali sui 10 anni, mentre presenta risultati a dire il vero altalenanti sui 5 anni.
Insomma, dai confronti fatti, viene fuori che le strategie volte ad abbassare la volatilità delle azioni su cui si investe permettono nel medio-lungo periodo di avere in effetti maggiore stabilità nei propri investimenti e quindi dormire un po’ più sereni, perché non si vede il proprio capitale subire grandi sbalzi di valore. Questo senza dover rinunciare, in definitiva, a enormi guadagni.
Un’eccezione deve però essere fatta per quanto riguarda il mercato USA, che essendo fortemente esposto alla tecnologia e a società innovative, è sicuramente più volatile, anche se tende a sovraperformare gli altri indici.
Un’importante caratteristica dei fondi “low volatility”, che non va assolutamente sottovalutata, è però quella di saper perdere molto meno negli anni in cui i mercati scendono. E questo è un plus per tutti i tipi di investitori: sia per quelli che non vogliono correre rischi esagerati e non sono disposti a vedere cali di valore eccessivi nel portafoglio, sia per quelli che, pur non avendo questo problema, si ritroveranno comunque in pole position al ritornare del trend rialzista.
Direi quindi che, oltre a chi ha una tolleranza al rischio bassa o molto bassa (vedi edizione scorsa di questa newsletter), per il cui la strategia a bassa volatilità rappresenta la via maestra, in generale questo tipo di approccio è un ottimo diversificatore, che può essere inserito in portafoglio per poter usufruire degli innegabili benefici che può apportare, indipendente dalle proprie preferenze e dai propri obiettivi di investimento.