Tempo di lettura: 5 minuti
Gli ETF (Exchange Traded Funds) hanno acquisito un ruolo importante nei portafogli di investimento, grazie a performance in media superiori alle gestioni attive e con costi che possono essere anche 10 – 15 volte inferiori.
Non tutti gli ETF sono però uguali e qualche piccolo accorgimento a monte si rende necessario per scegliere nel migliore dei modi il fondo con cui investire i nostri risparmi.
ETF vs Fondo attivo: “compro il mercato” vs “punto a batterlo”
Sono due diverse strategie di investimento e prima ancora due opposte filosofie di pensiero e d’azione, in finanza.
Gli ETF sono fondi comuni a gestione passiva, che hanno come unica funzione quella di replicare fedelmente un determinato indice (insieme di titoli con caratteristiche comuni). La gestione attiva, invece, presuppone che il gestore si discosti dalla composizione dell’indice, prendendo solo quei titoli che secondo lui faranno meglio del mercato, alla costante ricerca di quel famoso “alpha” (cioè appunto l’extra rendimento rispetto al mercato), che può dare fama e gloria oppure (e più probabilmente) lasciarti sul lastrico.
Con l’ETF ancoriamo la performance del nostro portafoglio a quella dell’indice (con la conseguenza che, se quell’anno il mercato a cui ci esponiamo farà +5%, noi faremo anche +5% e viceversa). Con la gestione attiva ci mettiamo nelle mani della persona che gestisce il fondo e poi… non ci resta che sperare che compia le scelte giuste e che riesca a creare maggior valore di quello espresso dal mercato (e magari, negli anni peggiori, che ci faccia perdere meno di quanto abbia perso il mercato).
I dati facilmente rinvenibili ovunque (giornali di settore, youtubers più o meno seri, web, ecc…) parlano, salvo rarissime eccezioni, di una vittoria schiacciante degli ETF sui Fondi attivi. E non solo per i costi irrisori, ma proprio per le performance nettamente migliori.
Non tutti gli ETF sono validi e bisogna essere attenti a non cadere in fallo. Quindi come scegliere un buon ETF?
Cosa guardare nella scelta di un ETF
Il mondo degli ETF a un primo sguardo è una giungla, perché gli strumenti esistenti sono tanti e, a prima vista, tutti molto simili fra loro. Vi faccio un piccolo elenco di quelle 4 o 5 cose a cui prestare attenzione nella scelta, per evitare di andare alla cieca e poi pentirsi a giochi ormai fatti.
Dimensione e data di lancio del fondo
Un primo aspetto riguarda la dimensione del patrimonio gestito e la data di lancio del fondo passivo. Scegliere un ETF con dimensioni inferiori ai 100 mln di masse gestite oppure in commercio da meno di 1 – 2 anni può comportare il rischio di investire in un “fondo-pilota”, varato magari al solo scopo di sondare la domanda degli investitori in un determinato segmento, oppure in un fondo che non ha riscosso un gran successo e sta quindi stagnando.
In entrambi i casi, questi ETF potrebbero essere in futuro ritirati dal commercio, lasciandoci con un bel cerino in mano e con il problema (spesso gravoso) di recuperare le somme investite (sempre possibile ma non senza fatica) e di traslarle su un nuovo ETF.
Per cui, meglio investire in ETF con patrimonio superiore ai 500 mln e lanciati da almeno 5 anni. Se non ci fossero nel segmento in cui state cercando, date la precedenza alla massa gestita, che testimonia per lo meno l’interesse degli investitori verso lo strumento e dovrebbe quindi mettervi al riparo dal ritiro del fondo.
Modalità di replica
Altro elemento importante è la modalità di replica, che può essere fisica o sintetica. Senza entrare in tecnicismi inutili, con la replica fisica il fondo acquista materialmente tutti i titoli che compongono l’indice (replica totale) o un campione rappresentativo degli stessi (replica a campione). Con la replica sintetica invece i titoli sono in mano a un soggetto terzo (di norma una banca), che stipula un contratto con l’ETF e si impegna a corrispondere la performance dei titoli stessi.
Per cui la replica sintetica è più rischiosa, perché esiste implicitamente il rischio del possibile fallimento o inadempienza del soggetto terzo.
Il tracking error
Il tracking error è in pratica la differenza di performance fra ETF e indice di riferimento. Naturalmente, siccome l’ETF deve replicare passivamente e fedelmente il mercato, questa differenza dev’essere minore possibile (ideale 0,1 o nulla). Anche se la differenza fosse molto positiva (il che significa che il fondo ha fatto molto meglio del mercato), dovremmo infatti concludere che l’ETF non è un fondo di qualità, perché non assolve correttamente alla sua funzione.
Il tracking error è talora indicato direttamente nella scheda informativa dell’ETF (documento disponibile sia su JustETF.com sia sul sito della società emittente). Se non è indicato espressamente, si ricava in ogni caso sempre dal KIID del fondo (il documento in cui sono indicati tutti i rischi connessi all’investimento):
Diversificazione interna al fondo
Uno dei benefici insiti nel fatto di “comprare il mercato” è quello di diversificare il nostro investimento, preferendo quindi comprare tutto il paniere, invece che solo alcuni dei titoli che lo compongono (es. non compro Enel, Moncler e Intesa San Paolo, ma mi compro tutto il FTSE MIB e non se ne parla più!)
Non tutti gli ETF però potrebbero raggiungere al loro interno un grado di diversificazione ottimale, perché l’indice a cui si rifanno potrebbe essere a sua volta sovraesposto verso un determinato Paese (cosa che regolarmente avviene ad esempio nel caso degli ETF che puntano sul mercato globale, che sono sovraesposti sugli USA) oppure su un determinato settore (es. finanziario, materie prime ecc.).
Questo dato è molto spesso visionabile su JustETF.com (per lo meno per gli ETF più grandi o “famosi”); è comunque sempre presente sulla scheda informativa del fondo; il consiglio che vi do però è di andare direttamente sul sito dell’emittente, perchè contiene dati più aggiornati (è sufficiente cercare il codice ISIN su google, fra i risultati viene fuori anche il sito dell’emittente, come può essere ad esempio IShares o Vanguard ecc).
Va da sè che, salvo specifiche casistiche in cui stiamo cercando una determinata sovraesposizione, è meglio preferire ETF più diversificati in entrambi gli ambiti. Inoltre, la scomposizione per settore ci dà la possibilità di scegliere anche nel dettaglio su cosa preferiamo investire. Ad esempio, se vogliamo evitare investimenti su società energetiche, potremmo preferire un fondo che non le contenga, oppure che magari abbia una minima parte di patrimonio dedicato.
Volatilità
La volatilità di uno strumento finanziario indica la misura con cui le sue performance nel corso del tempo si discostano, in positivo o in negativo, dal suo rendimento atteso (cioè dalla media ponderata dei suoi rendimenti). Il concetto di volatilità in finanza è utilizzato come sinonimo di rischio, perché il rischio di un investimento è proprio la possibilità che i rendimenti futuri siano diversi da quelli che mi attendo quando inizio ad investire.
JustETF contiene per ciascun ETF visionabile una sezione dedicata alla volatilità a 1 anno, a 3 anni e a 5 anni.
Il consiglio anche qui è di andare però sul sito dell’emittente, perchè il dato è più aggiornato (la volatilità qui è spesso indicata come “standard deviation”).
La volatilità di per sé non è una componente negativa, perché come nell’esempio sopra, la volatilità a 3 anni al 20,71% ci dice semplicemente che nei tre anni precedenti il fondo ha oscillato fra un -20% e un +20% rispetto alla media ponderata dei suoi rendimenti (per cui in una banda del 40%). Volatilità quindi significa maggiori rischi ma anche maggiori opportunità, poiché potremmo trovarci con un valore dell’investimento sopra del 20% rispetto alla media (e allora saremmo contenti) oppure sotto del 20% (e allora lo saremmo meno).
La scelta di un ETF sulla base della volatilità dipende dalla nostra propensione al rischio (se preferiamo dormire tranquilli, meglio prediligere basse volatilità), dall’obiettivo di investimento e dall’orizzonte temporale. Se ad esempio investiamo con lo scopo di ottenere una rendita, meglio orientarsi su ETF con basse volatilità, così da tenere il capitale impiegato il più possibile al riparo da forti oscillazioni di valore. Se abbiamo un orizzonte temporale lungo, possiamo anche permetterci una volatilità maggiore, primo perchè col tempo la volatilità diminuisce (come si vede nell’immagine fra la volatilità a 3 AA e quella a 5 AA (quella a 1 anno è poco indicativa e non va considerata). Secondo, perché se non abbiamo necessità di utilizzare il denaro nel breve o medio periodo, non rischieremo di trovarci in un caso spiacevole in cui dovremo liquidare l’investimento quando il fondo è nella sua fluttuazione negativa (come nell’esempio di prima, al -20%).
Rapporto rischio/rendimento
Volatilità = rischio ma non per forza anche investimento scadente.
Rapporto rischio/rendimento basso o addirittura negativo = investimento scadente e da evitare.
Il rapporto rischio/rendimento indica il rendimento ottenuto dal fondo per ogni unità di rischio che il fondo stesso si è assunto. E’ importante tenerlo in considerazione sia nella valutazione di un singolo fondo, sia nella comparazione fra due o più fondi (naturalmente con esposizione analoga, es. entrambi azioni e entrambi sul mercato americano), in quanto esprime il concetto per cui una performance maggiore in un determinato periodo potrebbe significare che il fondo è migliore, ma anche solo che il fondo si è accollato rischi maggiori e che, in definitiva, si potevano raggiungere risultati analoghi anche con rischi minori e quindi con un investimento più efficiente.
Senza entrare nel tecnico, è sufficiente dire che
- sono da evitare ETF con rapporti negativi sui 3 e sui 5 anni (anche qui il rapporto sull’ultimo anno non è rilevante), perché significa che il fondo sta distruggendo valore e quindi stareste perdendo soldi;
- nella scelta fra due o più fondi che investono nello stessa classe (azionario, obbligazionario ecc), Paese o settore, di regola, è bene scegliere quello con il rapporto maggiore, perché significa che a parità di rischio assunto sta facendo meglio.
Attenzione quando comparate due ETF con valuta differente, perché in questo caso il rapporto è influenzato anche dal cambio, che potrebbe sballare la prestazione!
JustETF.com ci agevola (evitandoci calcoli complessi), poiché indica per ciascun ETF il rapporto rischio/rendimento, nella sezione dedicata alla volatilità, permettendoci anche di selezionare la valuta e quindi di parificare tutti i fondi sotto questo aspetto.
Costi
I costi di commissione sono indicati nella voce “TER”, che sta per total expense ratio. Qui vado un po’ controcorrente, perchè sinceramente questa componente non è la prima cosa che guardo nella scelta di un ETF (infatti l’ho messa per ultima).
Gli ETF, salvo casi rari, hanno commissioni molto basse e quindi non fa una gran differenza una commissione dello 0,2% o dello 0,4%, pur essendo in teoria il doppio. Certo, ci sono anche ETF che costano lo 0,05% annuo e quindi sono praticamente gratis, però a mio parere un costo basso non supplisce a parametri di qualità scadenti. Personalmente, prima seleziono i fondi secondo me migliori e poi a quel punto prendo quello meno costoso. Altrimenti sarebbe come andare al mercato e prendere la frutta già mezza marcia solo perché te la tirano dietro! Anche perché le differenze di performance o di rischio fra i vari fondi difficilmente saranno nell’ordine dello 0,2% annuo… E poi si è sempre detto che la qualità si paga!
Adesso che avete in mano tutte le informazioni necessarie per scegliere i migliori ETF sulla piazza, andate e investite!